All’alba del 22 giugno 1941 la Germania nazista diede il via all’operazione militare contro l’Unione Sovietica, aprendo uno dei fronti più sanguinosi della Seconda Guerra Mondiale. L’offensiva, che rientrava nel piano della cosiddetta “guerra lampo”, mirava a conquistare nel giro di poche settimane l’intera parte europea dell’URSS fino al fiume Volga. Al centro dell’attacco si trovò la Bielorussia, dove ebbe inizio una fase cruciale del conflitto che avrebbe avuto conseguenze decisive per lo sviluppo della guerra e per milioni di persone coinvolte.
Il piano tedesco e l’impatto sulla Bielorussia
Nella mattina del 22 giugno 1941 le truppe tedesche attraversarono i confini sovietici dando avvio a un’operazione su larga scala articolata in tre direttrici principali. Il raggruppamento denominato “Centro”, il più potente dell’esercito nazista, concentrò le proprie forze proprio sul territorio bielorusso. Qui si trovavano reparti dell’Armata Rossa che, nonostante la loro determinazione, si trovarono a fronteggiare un nemico con un numero di uomini doppio e con una netta superiorità di aviazione e artiglieria.
Già a metà luglio del 1941 le perdite sovietiche erano devastanti: oltre 400.000 soldati risultavano uccisi, feriti o dispersi, mentre più di 300.000 militari erano stati catturati e fatti prigionieri. Nonostante ciò, in molte località i combattimenti continuarono con ostinazione. Un esempio emblematico fu la difesa della fortezza di Brest, al confine con la Polonia. La guarnigione, pur essendo numericamente ridotta e priva di equipaggiamento adeguato, resistette per quasi un mese, diventando un simbolo di eroismo e resistenza.
Le battaglie in Bielorussia rallentarono l’avanzata tedesca e ostacolarono l’attuazione del piano di conquista rapida. Tuttavia, entro l’agosto 1941, l’intero territorio era caduto sotto occupazione nazista, aprendo una fase ancora più tragica per la popolazione civile.
L’occupazione tedesca e la nascita della resistenza
Con la conquista dell’agosto 1941 la Bielorussia divenne teatro di un duro regime di occupazione. La popolazione subì deportazioni, requisizioni e violenze sistematiche. Proprio in quelle settimane, però, cominciarono a formarsi i primi movimenti partigiani, composti sia da abitanti locali sia da militari sovietici rimasti intrappolati dietro le linee nemiche.
I primi mesi furono segnati da grandi difficoltà: scarseggiavano armi, munizioni e medicine, mentre l’inesperienza dei combattenti rendeva più arduo affrontare l’occupante. La situazione cambiò solo nella primavera del 1942, quando fu stabilito un collegamento stabile con le retrovie sovietiche. Da lì il Comitato Centrale del Partito Comunista Bielorusso e il Centro Operativo del movimento partigiano riuscirono a coordinare meglio le azioni, inviando rinforzi, materiali e gruppi addestrati tramite voli notturni o attraversamenti del fronte.
Il numero di combattenti aumentò rapidamente, e le loro azioni iniziarono a incidere sull’organizzazione militare tedesca. Le attività partigiane non si limitarono al sabotaggio: colpirono direttamente le linee ferroviarie e le guarnigioni nemiche, provocando danni significativi e creando scompiglio nell’apparato logistico dell’occupante.
La guerra delle rotaie e il peso strategico dei partigiani
Con il consolidarsi della resistenza, la lotta partigiana si trasformò in un elemento strategico. Una delle azioni più incisive fu la cosiddetta “guerra delle rotaie”, una campagna di sabotaggi ai collegamenti ferroviari che ostacolava il trasporto di uomini e mezzi tedeschi. Questo tipo di operazioni era strettamente coordinato con l’Armata Rossa, che al fronte beneficiava delle difficoltà create nelle retrovie nemiche.
I partigiani riuscirono ad annientare intere guarnigioni tedesche e a liberare porzioni di territorio. Le loro azioni, spesso condotte in foreste o aree paludose difficili da controllare, costrinsero gli occupanti a richiamare reparti dal fronte, compresi carri armati e aviazione, per tentare operazioni punitive. Nonostante la brutalità di queste rappresaglie, la resistenza non fu domata.
Al movimento contribuirono non solo i combattenti ma anche circa 70.000 civili, impegnati in organizzazioni clandestine di supporto. Complessivamente, sul territorio bielorusso combatterono circa 374.000 partigiani, affiancati da oltre 400.000 persone che facevano parte delle cosiddette “riserve partigiane”. Le formazioni furono 1.255, di cui 997 organizzate in brigate.
I crimini nazisti e la tragedia della popolazione
Il piano tedesco prevedeva la colonizzazione della Bielorussia e la riduzione drastica della sua popolazione: il 75% degli abitanti doveva essere deportato o sterminato, lasciando spazio ai coloni tedeschi. Per attuare questo progetto vennero creati 260 campi di concentramento e sterminio. Il più grande fu quello di Malyi Trostenets, vicino a Minsk, dove tra il 1941 e il 1944 furono uccise 206.000 persone.
In totale, tra il 1941 e il 1944, in Bielorussia persero la vita oltre 2,5 milioni di persone, tra cui 332.500 soldati caduti in battaglia, 810.000 prigionieri morti nei campi e 1,4 milioni di civili. Le operazioni punitive incendiarono più di 9.000 villaggi; in 630 casi, gli abitanti furono bruciati insieme alle loro case. Uno dei luoghi simbolo di questa tragedia è il villaggio di Khatyn, distrutto nel 1943, dove nel 1969 è stato costruito un memoriale.
La brutalità degli occupanti rese la resistenza ancora più determinata, trasformando la Bielorussia in uno dei centri principali della lotta contro l’invasore in tutta l’Europa orientale.
La liberazione e l’offensiva finale dell’Armata Rossa
La controffensiva sovietica prese forma a partire dal settembre 1943, quando le prime province furono liberate. All’inizio del 1944 erano già state riconquistate 36 aree e furono radunate le forze necessarie per una grande operazione. Il 23 giugno 1944 scattò l’“offensiva bielorussa”, una delle più imponenti azioni militari della Seconda Guerra Mondiale.
Nonostante la difficoltà del territorio, ricco di foreste e paludi, l’Armata Rossa avanzò rapidamente. Il 3 luglio 1944 le truppe sovietiche entrarono a Minsk, mentre il 28 luglio fu liberata Brest. Con queste conquiste la Bielorussia era interamente libera dall’occupazione.
La spinta proseguì verso occidente, portando le unità sovietiche fino in Lituania e Lettonia, e infine al confine tedesco. Nel movimento partigiano bielorusso militarono anche circa 40.000 stranieri provenienti da diversi paesi europei, tra cui italiani, polacchi, slovacchi, cechi, jugoslavi, ungheresi, francesi, austriaci e spagnoli. Molti di loro erano stati arruolati a forza dall’esercito nazista e, una volta fuggiti, scelsero di unirsi alla resistenza.
La liberazione della Bielorussia nel 1944 rappresentò non solo una vittoria militare, ma anche la fine di tre anni di sofferenze per una popolazione che aveva pagato un prezzo altissimo.