La presenza di muffa in affitto può causare danni alla salute e all’immobile: ecco come individuare le responsabilità e tutelarsi legalmente.
La presenza di muffa in una casa in affitto rappresenta non solo un disagio estetico e olfattivo, ma un serio problema che può compromettere la salute degli occupanti e il valore abitativo dell’immobile. Nel contesto normativo italiano, la gestione di questa problematica coinvolge diritti e doveri sia del locatore che del conduttore, con conseguenze importanti su chi debba farsi carico delle spese di riparazione e sulle azioni legali percorribili.
Il primo passo per chi si trova a dover affrontare la muffa in un immobile in affitto è comprendere le cause del fenomeno, poiché solo così si può stabilire con chiarezza la responsabilità. Secondo l’articolo 1575 del Codice Civile, il proprietario ha l’obbligo di consegnare e mantenere l’immobile in uno stato idoneo all’uso abitativo, mentre le riparazioni di piccola manutenzione spettano all’inquilino (art. 1576 c.c.).
La muffa dovuta a problemi strutturali come infiltrazioni, umidità di risalita, ponti termici o impianti difettosi configura un vizio della cosa locata (art. 1578 c.c.) e quindi la responsabilità ricade sul locatore. Al contrario, se la muffa si genera a causa di una cattiva gestione dell’immobile da parte dell’inquilino — per esempio per insufficiente aerazione o uso improprio del riscaldamento — sarà quest’ultimo a dover sostenere le spese di intervento. In alcune situazioni, la responsabilità è condivisa quando ad esempio un difetto strutturale si somma a comportamenti negligenti dell’inquilino: in tal caso, i costi saranno divisi proporzionalmente secondo quanto rilevato da una perizia tecnica.
La tutela dell’inquilino: come agire in caso di muffa
Nel momento in cui si scopre la presenza di muffa riconducibile a un difetto strutturale, è fondamentale agire tempestivamente. Il primo passo è inviare una diffida formale al locatore, tramite raccomandata con ricevuta di ritorno o posta elettronica certificata (PEC). Questo atto ufficiale, previsto dall’art. 1577 c.c., informa il proprietario del problema e lo mette in mora affinché provveda a risolverlo entro un termine ragionevole. Senza questa comunicazione, sarà difficile dimostrare un eventuale inadempimento del locatore in caso di contenzioso.
È importante che la diffida dettagli la natura del problema, con indicazioni precise sulle stanze coinvolte e, se possibile, corredate da fotografie. Questo documento rappresenta la base per ogni azione successiva, che può includere la richiesta di riduzione del canone o la risoluzione del contratto.

Pagamento dell’affitto e risarcimenti: cosa prevede la legge(www.progettohumus.it)
Spesso l’inquilino è tentato di sospendere o ridurre il pagamento del canone in presenza di muffa, ma la giurisprudenza è tradizionalmente severa in merito: l’autoriduzione del canone è considerata inadempimento e può portare allo sfratto (Tribunale di Napoli Nord, sentenza 2025). La via corretta è rivolgersi al giudice, che può stabilire una riduzione proporzionata del canone in relazione alla perdita di godimento dell’immobile.
Tuttavia, recenti sentenze della Corte di Cassazione hanno introdotto una certa flessibilità, consentendo una sospensione parziale o totale del pagamento solo se proporzionata alla gravità del vizio e se l’inquilino agisce in buona fede (art. 1460 c.c.). Ad esempio, se la muffa rende inagibile l’intero appartamento, può essere giustificata la sospensione totale; se riguarda solo una parte, si potrà sospendere una quota ridotta del canone.
In caso di danni gravi e diffusi, l’inquilino può chiedere la risoluzione del contratto per grave inadempimento del locatore (artt. 1453 e 1578 c.c.). Numerose pronunce, come quella del Tribunale di Salerno dell’ottobre 2024, hanno riconosciuto che muffa e umidità che rendono malsano l’ambiente costituiscono motivo valido per recedere senza preavviso.
In aggiunta, l’inquilino può richiedere un risarcimento per i danni subiti, che possono essere di natura sanitaria (in caso di aggravamento di patologie respiratorie o allergie), materiali (deterioramento di mobili e oggetti) o patrimoniali (spese per traslochi o alloggi temporanei). La prova del nesso causale tra muffa e danni spetta sempre all’inquilino, che deve presentare con documenti medici, fatture e perizie tecniche (Tribunale di Campobasso, 2025).

Muffa in casa in affitto: responsabilità tra locatore e conduttore (www.progettohumus.it)










