Economia

Una tassa sull’oro, nella manovra del Governo spunta una proposta che fa inorridire i cittadini

la nuova tassa sull'oroCosa cambia con la tassa sull'oro - progettohumus.it

Manovra 2025, introdotta tassa sull’oro per tutelare e per reperire risorse e alleggerire il carico sui dividendi, ecco cosa cambia.

Nel contesto della discussione sulla Legge di bilancio 2026, è emersa una nuova proposta fiscale che potrebbe modificare significativamente il panorama tributario italiano: la possibilità di introdurre una tassa sulla rivalutazione dell’oro. Questa misura, avanzata principalmente da esponenti di spicco della maggioranza di centrodestra, si propone di reperire risorse per evitare l’inasprimento della tassazione sui dividendi, tema che ha generato forti preoccupazioni tra imprese e investitori.

La proposta di tassazione sull’oro e il contesto economico e finanziario

L’idea di tassare la rivalutazione dell’oro da investimento è stata spiegata dettagliatamente da Giulio Centemero, capogruppo della Lega in Commissione Finanze alla Camera, durante l’evento Milano Capitali 2025, promosso da Class CNBC e Milano Finanza. Centemero, laureato in Economia e Commercio e commercialista di professione, ha sottolineato come l’oro rappresenti un patrimonio considerevole e che “una proposta che sto cercando di portare avanti è l’affrancamento dell’oro da investimento, che cuba un buon quantitativo”..

La spinta verso la tassazione sull’oro nasce dal boom storico delle quotazioni del metallo prezioso, che ha raggiunto un picco superiore a 4.000 dollari l’oncia, un record senza precedenti nella storia del mercato. Tuttavia, nelle ultime sedute si è assistito a un lieve ritracciamento, con i prezzi che hanno chiuso intorno a 3.939 dollari l’oncia, influenzati dalla forza del dollaro americano e dalle aspettative di politica monetaria della Federal Reserve statunitense.

tassa oro e proposta nella manovra

La proposta della tassa sull’oro nella manovra – progettohumus.it

Questa dinamica ha stimolato l’idea di introdurre un’aliquota secca sulla rivalutazione dell’oro, simile a quella già adottata per terreni e partecipazioni nella precedente legge di bilancio, con l’obiettivo di “allineare tecnicamente il valore fiscale del bene a quello reale di mercato” e di evitare così distorsioni nei meccanismi fiscali.

L’ipotesi in discussione prevede che i possessori di oro da investimento possano “affrancare” il proprio capitale, aggiornando il valore fiscale del metallo al prezzo di mercato attuale. In cambio, pagherebbero un’imposta sostitutiva ridotta, stimata intorno al 18%, inferiore all’attuale aliquota ordinaria del 26% applicata alle plusvalenze.

Questa soluzione permetterebbe un beneficio fiscale immediato per i contribuenti, che vedrebbero diminuire l’impatto delle imposte al momento della cessione dell’oro, poiché la plusvalenza verrebbe calcolata sul valore rivalutato anziché su quello originario d’acquisto. Per lo Stato, invece, si configurerebbe un incasso anticipato, contribuendo al finanziamento della manovra senza aggravare ulteriormente la pressione fiscale su dividendi e cedole.

La stretta sui dividendi e le reazioni di imprese e associazioni di categoria

L’ipotesi di introdurre la tassa sulla rivalutazione dell’oro si inserisce in un quadro di forte dibattito sulla tassazione dei dividendi, che ha sollevato numerosi allarmi sia da parte di Confindustria sia dall’ANIA. La nuova disciplina, contenuta nell’articolo 18 della legge di bilancio 2026, prevede infatti che le distribuzioni di utili e riserve da parte di soggetti IRES godano dell’esclusione dalla base imponibile solo se la partecipazione nella società erogante non è inferiore al 10%.

Questa misura colpisce in particolare le piccole e medie imprese e gli imprenditori in regime IRPEF, rischiando di compromettere la capacità di attrarre capitali e di mantenere l’assetto proprietario dei gruppi italiani. Il direttore generale di Confindustria, Maurizio Tarquini, ha definito la disciplina “dirompente e penalizzante” e ha richiamato l’attenzione sulla necessità di garantire la certezza del diritto e il sostegno agli investimenti.

Anche Assoholding ha espresso forti critiche, sottolineando come la norma stravolgerebbe un regime di esenzione fiscale consolidato da oltre vent’anni, minando i principi di neutralità fiscale e prevenzione della doppia imposizione lungo la catena partecipativa.

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