Economia

Finte vendite mettono l’eredità a rischio: la mossa vincente che ti salva la quota

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Occhio al dettaglio che rovina il passaggio dell’eredità: il rischio che succeda è concreto.

Nel sistema giuridico delle successioni ereditarie, un problema ricorrente è rappresentato dalle finte vendite messe in atto dal defunto per sottrarre valore alla quota di legittima spettante agli eredi. Una recente pronuncia della Corte d’Appello di Trento ha approfondito in modo significativo il tema, chiarendo come l’erede possa difendere la propria posizione con strumenti probatori più ampi rispetto a quelli generalmente previsti, in presenza di atti simulati.

Il punto di partenza è l’analisi del patrimonio lasciato dal defunto, il cosiddetto relictum, che spesso risulta insufficiente a soddisfare i diritti dei legittimari come coniuge, figli o ascendenti in assenza di discendenti. Questo squilibrio si verifica quando il de cuius ha compiuto in vita atti dispositivi, come donazioni o vendite simulate, che superano la quota disponibile, cioè la parte del patrimonio che poteva liberamente disporre.

In questi casi, l’erede leso può esercitare l’azione di riduzione, volta a ridurre le disposizioni testamentarie o le donazioni che ledono la quota di legittima. Tale azione consente di reintegrare la propria quota, affermando il principio per cui la successione necessaria prevale su quella legittima e integrativa.

La simulazione e la posizione processuale dell’erede

Uno degli ostacoli principali per l’erede è dimostrare che una vendita apparentemente regolare sia in realtà una donazione mascherata – una pratica nota come simulazione. Ad esempio, un padre che vende un immobile a un prezzo irrisorio o senza effettivo trasferimento di denaro sta compiendo un atto simulato, con l’effetto di favorire un erede a discapito di altri.

La sentenza n. 141 del 31 luglio 2025 della Corte d’Appello di Trento ha ribadito un principio fondamentale: l’erede che agisce per la reintegrazione della quota di legittima non assume semplicemente la posizione del defunto, ma si configura come un soggetto terzo e antagonista rispetto all’atto simulato. Questo muta profondamente la sua posizione processuale, attribuendogli un regime probatorio più favorevole.

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Dal punto di vista processuale, chi intende dimostrare la simulazione tra le parti originarie di un contratto deve attenersi a rigide limitazioni: in linea generale, infatti, non può utilizzare testimoni o presunzioni, ma solo prove documentali come la controdichiarazione. Tuttavia, per l’erede che agisce in riduzione, queste restrizioni non si applicano.

In virtù dell’articolo 1417 del codice civile, l’erede può provare la simulazione con ogni mezzo, inclusi testimoni e presunzioni. Ciò si traduce nella possibilità di portare in giudizio elementi quali:

  • il prezzo di vendita significativamente inferiore al valore di mercato,
  • l’assenza di prova dell’effettivo pagamento,
  • la permanenza del venditore nel possesso dell’immobile,
  • la natura dei rapporti personali tra le parti coinvolte.

Questa apertura è essenziale per smascherare atti dispositivi che, seppur formalmente regolari, nascondono donazioni dissimulate a danno della quota di legittima spettante agli eredi lesi.

Nel caso esaminato dalla Corte trentina, la parte appellata aveva sostenuto che le vendite formalmente concluse celassero in realtà donazioni indirette. I giudici hanno confermato che, in tali circostanze, l’erede agisce non come semplice successore, ma come controparte del de cuius, potendo così liberamente avvalersi di prove testimoniali e presuntive per dimostrare la simulazione e ottenere la reintegrazione della propria quota ereditaria. Questa decisione rappresenta un importante passo nella tutela degli eredi, fornendo strumenti concreti per contrastare strategie elusive che compromettono la corretta ripartizione del patrimonio successorio.

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